Massimo Locci – su "Enigma":

Del complesso intervento progettato da Valter Vari sono attratto in particolar modo dall’uso del fotogramma con la scrittura egizia. Ciò deriva dal fatto che il suo lavoro appare estremamente logico e chiaramente decifrabile. La fascia di fotogrammi che, come in un racconto filmato, scandisce la scena e il tempo. La trama di polietilene rossa definisce la griglia modulare che misura lo spazio della rappresentazione.
La lacerazione sull’intonaco, più che una ferita rappresenta lo sconfinamento dei limiti del percepibile, oltre lo spazio e oltre il tempo. Un processo di svelamento a ritroso per scoprire le stratificazioni della storia del luogo. Alla ricerca del profondo, della struttura che tutto supporta, forse dell’anima che è mascherata nell’anonimo vano. I cassonetti luminosi inseriti nelle nicchie rappresentano l’interesse per la deroga, per l’alternanza dei significati duali e opposti: luce-tenebre, pieno-vuoto, positivo-negativo. Un intervento essenziale nell’espressione e limpido nella formulazione concettuale e metodologica.
Viceversa sfugge alla comprensione immediata e razionale l’uso delle icone con i geroglifici. Tutto ciò spinge a cercare di decifrare l’enigma, per comprendere quale ruolo abbia, per esempio, il simbolo del gufo unito a quello del braccio o il cerchio con la croce, raffigurazione di un villaggio con un incrocio di strade.
Apprendo innanzitutto che l’immagine è tratta dall’obelisco di San Giovanni in Laterano; non ha senso, perciò, tentare di interpretare il significato dei segni (gufo=M, braccio=A, etc.) in quanto l’icona è un frammento dell’intera iscrizione e perciò non possiede un senso compiuto. La relazione che l’artista ha privilegiato è quindi il legame con il luogo (topos) più che con il significato del testo (logos).
L’indagine va dunque rivolta verso le leggi della topica, verso la teoria dei luoghi logici e l’arte di inventarli.
Per Valter Vari il ragionamento sul luogo fisico coincide con l’interpretazione del linguaggio, con la decriptazione dei segni, ma anche con il gioco e la con-fusione dei suoi significati. Guardando una iscrizione egizia si nota immediatamente che i gruppi di geroglifici sono composti in modo da identificare circuitazioni di lettura differenti, da sinistra a destra e viceversa, dall’alto in basso e viceversa. Il verso di lettura si può capire osservando le effigi: se sono rivolte a destra è necessario leggere da destra, se sono rivolte verso l’alto si parte dall’alto. In altri termini è lo sguardo che determina l’orientamento, il senso di lettura e le correlazioni dell’interpretazione. Inoltre è risaputo che, nello studio comparato dei geroglifici, solo talvolta il significato coincide con ciò che rappresentano; più spesso essi identificano unicamente le consonanti, viceversa le vocali quasi mai venivano scritte. Tutto ciò ha reso enigmatica ed incomprensibile per secoli la lingua dei faraoni.
Anche se gli studi di Champollion (1822) hanno dimostrato che l’antico egizio non era una scrittura pittorica vera e propria, in quanto gran parte dei pittogrammi non ha valore di simbolo ma corrisponde semplicemente a una lettera alfabetica e di conseguenza a un suono. Ciò che, da sempre, affascina maggiormente gli studiosi di cose egizie è il senso estetico della composizione di figure e segni, la loro posizione nell’impaginato della stele, le arcane relazioni tra gli ideogrammi. A ben guardare sono più importanti le spaziature, i vuoti tra un lemma e il successivo, che le icone vere e proprie.
Come un antico scriba, l’artista contemporaneo non ha interesse a svelare il mistero: scompone e ricompone frammenti di immagini e di figure per ideare nuove storie. Il processo messo in atto da Valter Vari segue la logica della criptazione, del nascondimento, della pluralità e compresenza delle interpretazioni.
D’altronde lo stesso titolo della rassegna, ANIME, se lo si legge come uno scritto egizio, non diventa forse
ENI(G)MA?


Massimo Locci – su "Trame":

L’opera di Valter Vari ha radici nell’espressionismo astratto e nell’informale.
Egli sembra programmaticamente orientato verso un assolutismo formale, un azzeramento della rappresentazione e della valenza materica. Il suo linguaggio è trasversale, in quanto sintesi di precedenti ricerche artistiche, ma è anche selettivo, in quanto conseguenza logica di valutazioni estetiche che gli appartengono e che sono la premessa per la riscoperta delle avanguardie artistiche del ‘900.
La propensione astratta è, come già per il Suprematismo di Malevic, la manifestazione della supremazia del significato rispetto al significante, della sensibilità interpretativa nei confronti della rappresentazione, l’esaltazione del concetto a detrimento dei caratteri figurativi della comunicazione.
Nelle formelle quadrate in terracotta l'assolutismo geometrico viene contaminato dal pattern materico e dalle fratture che l’artista stesso produce. Le trame derivanti dalla ricomposizione delle forme (saldature-cuciture) rappresentano un suo linguaggio per segni, una sorta di grafismo elementare. Questi segni non appartengono all’universo simbolico, in quanto non fanno riferimento ad alcuna raffigurazione del reale, né rappresentano una forma di scrittura, in quanto frutto di un processo non codificabile e non ripetibile. Questi segni sono la manifestazione di un impulso automatico, di un gesto trasgressivo che lo porta a spezzare le lastre: programmaticamente non possono rispondere ad una logica razionale, a un rigore compositivo. Anche in questo caso siamo di fronte ad una azione corrosiva, di rottura di simboli, una manifestazione di disagio dell'artista rispetto a ciò che gli accade intorno.